1935-'36: «Io faccio i goal non la guerra!»

Il campionato 1935-'36 ebbe inizio il 22 settembre 1935, ultima giornata 10 maggio 1936.
Come la stagione precedente lasciava prevedere, la grande Juventus è stanca. Finirà al quinto posto. E tutti riprendono coraggio. Vince il Bologna con 40 punti. La Roma è seconda con 39. La Lazio settima con 30.
Squadra titolare: Masetti, Monzeglio, Allemandi, Frisoni, Bernardini, Fusco, Cattaneo, Tomasi, Di Benedetti, Scaramelli, D'ALberto. Riserve: Subinaghi, Pastore, Cerroni. Allenatore: Barbesino. Campo: Testaccio.
Partite vinte 16, pareggiate 7, perdute 7. Goi segnati 32, incassati 20 (minimo nazionale). Capocannoniere: Di Benedetti, 7 gol.
I giallorossi si qualificarono per la terza volta in Coppa Europa. Al secondo turno lo Sparta di Praga li eliminò.

Se fosse necessario dimostrare che il calcio è sempre stato bizzarro e buontempone, questo campionato della Roma sarebbe un esempio convincente. Due grossi guai sembrano togliere ogni velleità prima ancora dell'inizio del torneo. Il presidente Sacerdoti - ebreo - fu costretto nel giugno 1935 a ritirarsi dalla presidenza della società che tanto gli doveva: era in vista una triste legge razziale che non ammetteva eccezioni, specialmente quando si era molto noti. A lui subentrò il senatore Antonio Scialoja e più tardi un «gerarca», Igino Betti. Ambedue non avevano davvero la passione, lo spirito d'iniziativa, l'esperienza che avevano creato il prestigio del predecessore il quale aveva fatto in tempo ad acquistare Monzeglio e Cattaneo mettendo anche le basi per l'acquisto di un terzino di classe come Allemandi (da non confondere col giovane Allemandi II che aveva fatto qualche comparsa in prima squadra). Come non bastasse, tre mesi dopo, Guaita, Scopelli e Stagnaro, impauriti dalle voci incalzanti sullo scoppio della guerra italo-etiopica e convocati per una visita medica al distretto militare, sparirono dalla circolazione. Prima in auto poi in treno avevano passato il confine a Ventimiglia. Guaita disse ai giornalisti francesi che «era venuto per fare i gol, non la guerra», anticipando così lo slogan venuto di moda in tempi recenti. Non si videro mai più, e la fuga fu considerata dall'opinione pubblica come un atto di vigliaccheria inaudito.
Così il nuovo presidente, ma soprattutto Barbesino e Biancone, si trovarono a tre giorni dall'inizio del campionato con due vuoti paurosi nella linea d'attacco. Ci si arrangiò con quello che passava il convento. Con una prima linea di fortuna (Cattaneo, Tomasi, Gadaldi, Scaramelli, D'Alberto) si vinse subito battendo il Torino, il Napoli e la Lazio, poi qualche dispiacere, mentre all'inizio del girone di ritorno maturava un gesto generoso della dea. bendata: da un collegio di Albano era saltato fuori un ragazzetto che si chiamava Dante Di Benedetti. Non era un Guaita, ma segnava e faceva segnare. Di lui Biancone disse: «Con Barbesino esitammo a lungo, non volevamo "bruciarlo", ma oggi devo ammettere che se avessimo deciso di mandarlo in campo qualche settimana prima, avremmo vinto il campionato».
Oltre alla duplice vittoria nel derby, la stagione riservò un raro evento. La Roma vinse a Torino il 29 marzo 1936 battendo la Juventus per 3-1 con due gol del «collegiale». Così un campionato iniziato all'orlo della disperazione restò invece come una grande occasione perduta per un soffio.

Tratto dal libro AS Roma da Testaccio all'Olimpico (libro edito nel 1977)

 

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